STORIA DEL PRESEPE

L’AFFASCINANTE STORIA DEL PRESEPE


Il beato don Giacomo Alberione, fondatore delle “Edizioni San Paolo” e del diffusissimo settimanale “Famiglia Cristiana”, aveva un motto: «Iniziare sempre da un presepio» ovvero dall’essenziale, in povertà. E se vogliamo, in questa semplice ma profonda riflessione, si racchiude tutta la bellezza e la forza dell’amore del messaggio evangelico della nascita di Gesù. San Francesco d’Assisi era molto legato a questa ricorrenza, affascinato dalla solennità della nascita di Gesù in estrema povertà e perciò manifestava una devozione tutta speciale. Diceva infatti: «Ecco, ogni giorno Egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno Egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare». E tutta questa esuberante dolcezza verso la natività del bambino Gesù, volle esprimere nel primo presepe vivente della storia della Chiesa, a Greccio in Umbria. Nella vasta iconografia del poverello d’Assisi egli viene spesso rappresentato come il santo che parla agli animali. Tanti infatti sono i racconti inerenti le creature del mondo animale a cui il santo si rivolgeva con confidenza: dalla famosa predica agli uccelli di Piandarca alle cicale, dal lupo di Gubbio all’asino di Trevi o alle allodole. Questo probabilmente perché aveva fatto sua la frase di Matteo di predicare il Vangelo a tutte le creature. In questo suo primo presepe quindi non potevano mancare il bue e l’asinello anche se i quattro Vangeli riconosciuti dalla Chiesa – Matteo, Marco, Luca e Giovanni – non riportano la presenza né del bue e neppure dell’asino. Della mangiatoia si trova testimonianza solo nel Vangelo di Luca quando viene detto: “Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo fasciò e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo”. Sono solo alcuni testi apocrifi che nella descrizione della natività includono i due animali. Ma nel suo presepe Francesco fa uno strappo alla regola. Stando alle Fonti Francescane, nella rappresentazione di Greccio, c’è una mangiatoia con la paglia e sopra una statuina di cera del neonato Gesù che si animò quando Francesco lo abbracciò e vicino, vivi, il bue e l’asino. Manca la Madonna e san Giuseppe. Lo stesso Giotto, negli affreschi della basilica superiore di Assisi, dipinge il presepio vivente di Greccio senza i genitori di Gesù. Cerchiamo di fare un viaggio a ritroso nel tempo per gettare un po’ di luce su questa scelta che appare anacronistica. San Francesco infatti era il cantore della Madre di Dio, per lei aveva scritto versi e preghiere di una dolcezza e bellezza assolute. La chiesetta a cui era legatissimo, La Porziuncola, è intitolata a Santa Maria degli Angeli e la stessa Madonna qui gli apparve come ci assicurano le varie biografie sulla vita del Poverello. Non può quindi trattarsi di una dimenticanza e lo vedremo analizzando testi biblici e opere d’arte.


LE NATIVITÁ NELLA STORIA ARTISTICA DELLA CHIESA


La più antica scena della Natività la troviamo a Roma nelle catacombe di Priscilla, sulla via Salaria. Trattasi di un dipinto su un arcosolio risalente al  II secolo. Maria  ha il capo coperto e reclinato verso il bambino Gesù che, teso il braccio alla Madre, si volge verso l’osservatore. Sulla sinistra una figura maschile indica la stella: sarebbe raffigurato, secondo l’archeologo  Wilpert, il passo di Isaia che dice : “Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio”; per altri potrebbe trattarsi del profeta Balaam che aveva annunciato: “Io lo vedo… una stella spunta da Giacobbe, uno scettro da Israele”. L’artista ha voluto raffigurare la scena come il compimento delle Scritture. Nella stessa catacomba di Priscilla troviamo, nella Cappella Greca, la prima immagine dell’Adorazione dei Magi che nell’allineamento consueto si avvicinano a Gesù e a Maria offrendo i loro doni. Dalla pittura ci spostiamo alla scultura. In Italia ci sono tre sarcofagi in marmo lavorati in bassorilievo che si contendono il primato della raffigurazione della natività intesa come presepio.

Il primo e forse il più antico, è quello delle catacombe di Siracusa indicato con il nome di Adelfia dove, assieme alla natività, si trovano altre scene del nuovo e del vecchio testamento. Gesù è attorniato dal bue e dall’asinello e poi da un giovane che ha sopra una stella. Poi si nota una donna, Maria. Anche negli altri sarcofagi, quello dei Musei Vaticani e quello di Boville Ernica (Frosinone) le somiglianze con il primo sono evidenti. Troviamo il bambino Gesù fasciato in una mangiatoia con il bue e l’asinello vicinissimi e poi i Re Magi e la Madonna. Fa specie il sargofago di Stilicone e Serena che si trova alla base dell’ambone della chiesa di sant’Ambrogio a Milano. Una delle più antiche raffigurazioni della Natività, con il bambino Gesù in fasce, deposto nella mangiatoia e vegliato solamente dal bue e dall’asino. Nient’altro. Ricordiamo che a Milano l’imperatore Costantino con Licinio firmarono il famoso editto sulla libertà di culto per i cristiani nel 313. Sembra che lo stesso Sant’Ambrogio abbia dato suggerimenti per realizzare l’opera, infatti il sargofago risale al IV secolo. Qual è il motivo per cui solo i due animali vengono associati al bambino Gesù? Scriveva sant’Ambrogio che la presenza dei due animali è metafora del popolo ebraico e pagano cioè di tutta l’umanità che Cristo incarnandosi è venuto a salvare. Scrive infatti il profeta Isaia: “Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non mi conosce e il mio popolo non comprende”. A questo punto emerge quasi spontanea la sintesi: quasi tutte le natività dei primi secoli sono fortemente cristocentriche e infatti la mangiatoia e lo stesso neonato Gesù sono sovradimensionati secondo lo stile egizio che dava più importanza a chi era raffigurato con più spazio. Nel sargofago di Stilicone si arriva all’estrema sintesi. Potrebbe quindi essere questa la chiave di lettura del presepio francescano di Greccio. Rimanendo sempre in tema non possiamo non citare il bellissimo mosaico sulla natività nella chiesa di sant’Apollinare nuovo a Ravenna risalente al VI secolo. Qui compaiono anche i nomi dei Re Magi: Gaspare, Baldassarre e Melchiorre che portano rispettivamente oro, incenso e mirra.

SANTA MARIA MAGGIORE AD PRAESEPEM E LA RELIQUIA DELLA MANGIATOIA DI GESÙ A ROMA


 Il grande Origene scrive : “A Betlemme si mostra la grotta in cui nacque Gesù e il presepe in cui venne avvolto in fasce”. L’interesse quindi dei cristiani a valorizzare e mantenere viva la tradizione della natività è da sempre. All’epoca di Gesù le madri palestinesi erano solite collocare il neonato in una culla di terracotta che poteva essere poggiata su una sorta di cavalletto con quattro assi. Papa Sisto III, nel 432, realizzò, all’interno della primitiva basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, una “grotta della Natività” simile a quella di Betlemme. Alcuni pellegrini ritornando dalla Terra Santa portarono in dono le asticelle in legno di sicomoro che accolsero Gesù Bambino. Trattasi di cinque sbarrette ( una non è ritenuta autentica ) che attualmente sono custodite in un reliquiario ai piedi dell’altare maggiore. In Basilica è custodita anche un’altra reliquia, il panniculum, un piccolo pezzo di stoffa – custodito in una teca donata da Pio IX – che secondo la tradizione costituisce un lembo delle fasce con cui fu avvolto il Bambino Gesù. Una reliquia simile si trova ad Assisi nella Basilica inferiore e viene esposta il giorno dell’Assunta. Rimanendo in tema è doveroso anche citare una natività particolare che si trova nell’arco del frontone destro dell’abside di Santa Maria Maggiore. Si tratta di un mosaico del V secolo molto innovativo. Il piccolo Gesù, con una stella sopra il capo, è seduto su un trono gemmato attorniato da angeli con la presenza dei Re Magi. Mancano per la prima volta il bue e l’asinello e per la prima volta, finalmente, compare in modo chiaro anche San Giuseppe.


IL PRESEPIO VIVENTE DI GRECCIO


Sono trascorsi ottocento anni da quando il poverello d’Assisi realizzò a Greccio il primo presepe vivente e in questo sta la novità. Ma Il suo presepe non è solo un voler rappresentare la natività di Gesù quanto un rivivere l’avvenimento. Come non era solo importante conoscere il Vangelo, quanto invece viverlo. Così è per Francesco la scena della natività. Ed essendo appunto il Natale la nascità di Gesù, così egli pone al centro il Bambinello, il Re dell’universo che si fa piccolo e debole per salvare tutta l’umanità rappresentata dal bue e dall’asinello, come indica il profeta Isaia nella Sacra Scrittura. Il Natale è un mistero d’amore e di grazia così grande da non poter fare altro che stupire e affascinare. Ma lasciamo che siano le Fonti Francescane a raccontarci l’avvenimento.


LA SUA DEVOZIONE AL NATALE DEL SIGNORE E COME VOLEVA CHE IN TALE GIORNO Sl PORTASSE SOCCORSO A TUTTI


«Al di sopra di tutte le altre solennità celebrava con ineffabile premura il Natale del Bambino Gesù, e chiamava festa delle feste il giorno in cui Dio, fatto piccolo infante, aveva succhiato ad un seno umano. Baciava con animo avido le immagini di quelle membra infantili, e la compassione del Bambino, riversandosi nel cuore, gli faceva anche balbettare parole di dolcezza alla maniera dei bambini. Questo nome era per lui dolce come un favo di miele in bocca. Un giorno i frati discutevano assieme se rimaneva l’obbligo di non mangiare carne, dato che il Natale quell’anno cadeva in venerdì. Francesco rispose a frate Morico: «Tu pecchi, fratello, a chiamare venerdì il giorno in cui è nato per noi il Bambino. Voglio che in un giorno come questo anche i muri mangino carne, e se questo non è possibile, almeno ne siano spalmati all’esterno.
Voleva che in questo giorno i poveri ed i mendicanti fossero saziati dai ricchi, e che i buoi e gli asini ricevessero una razione di cibo e di fieno più abbondante del solito. «Se potrò parlare all’imperatore – diceva – lo supplicherò di emanare un editto generale, per cui tutti quelli che ne hanno possibilità, debbano spargere per le vie frumento e granaglie, affinché in un giorno di tanta solennità gli uccellini e particolarmente le sorelle allodole ne abbiano in abbondanza». Non poteva ripensare senza piangere in quanta penuria si era trovata in quel giorno la Vergine poverella. Una volta, mentre era seduto a pranzo, un frate gli ricordò la povertà della beata Vergine e l’indigenza di Cristo suo Figlio. Subito si alzò da mensa, scoppiò in singhiozzi di dolore, e col volto bagnato di lacrime mangiò il resto del pane sulla nuda terra. Per questo chiamava la povertà virtù regale, perché rifulse con tanto splendore nel Re e nella Regina. Infatti ai frati, che adunati a Capitolo gli avevano chiesto quale virtù rendesse una persona più amica a Cristo: « Sappiate – rispose, quasi aprendo il segreto del suo cuore – che la povertà è una via particolare di salvezza. Il suo frutto è molteplice, ma solo da pochi è ben conosciuto ».
(Fonte: Celano,“ Vita Seconda di San Francesco d’Assisi”.)

 

LA NATIVITA’ DI GRECCIO, PRIMO PRESEPIO VIVENTE


 «La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma erano di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo. Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro. A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore. C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: «Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme. Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi ilsacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima. Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole. Vi si manifestano con abbondanza i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia».

(Fonte: Celano,“ Vita Prima di San Francesco d’Assisi”.)